Back home strategy. Marco Camisani Calzolari, disruptive innovator: «Il vero ROI dei social media essere ancora vivi tra cinque anni»
«Le vie di Facebook sono finite e Mark Zuckerberg ha tradito il patto originale con gli utenti». Parola di Marco Camisani Calzolari, disruptive innovator e tra i maggiori esperti di marketing e comunicazione digitale.
Il suo ultimo libro “Fuga da Facebook” non ammette repliche. Ma l’autore di Impresa 4.0 e di numerose piattaforme internazionali del Nuovo Web, suggerisce alle aziende di fare ritorno a casa (“back home strategy”, come recita il sottotitolo) per rimettersi a studiare la strategia di marketing. Marco Camisani Calzolari – però – ci tiene a precisare che il suo non è un libro contro Facebook, ma a favore delle aziende e del corretto uso degli strumenti di social marketing.
«Questo libro non è contro Facebook, ma è un invito alle aziende a ripensare al loro marketing digitale, a non affidarsi completamente ai social network per comunicare con i loro clienti». Quella di Camisani Calzolari è una critica ai “super fuffa fanta guru 2.0” che hanno spinto le aziende a usare solo la strategia dei social network e ad abbandonare la comunicazione con i clienti sui loro siti, facendoli diventare piattaforme obsolete».
Le aziende non sono messe al corrente di quelli che sono i lati negativi di una strategia fatta solo sui social network e Camisani Calzolari, mette in guardia dai «finti click, bot e altre bugie su Facebook».
«Le aziende non sono ancora in grado di utilizzare in modo corretto i social media e fino adesso si sono lasciate influenzare dalle mode». Non è mai una buona idea mettere tutte le mele in un cestino soltanto, soprattutto quando non si è padroni né del contenitore, né del contenuto. Per restare nella metafora biblica, il “peccato originale” delle aziende è stato quello di affidarsi ciecamente ai social network, senza avere una strategia chiara. «Con l’aggravante per le aziende – spiega Marco Camisani Calzolari – di non essere neppure proprietarie dei dati dei propri fan. Sono convinto che le società inizieranno a ridurre i loro investimenti, cercando di coinvolgere in maniera diversa i potenziali clienti. Insomma cercheranno di tornare padrone del loro destino».
L’ESODO È INIZIATO
Il trade off tra accesso e privacy sarà uno dei temi principali del prossimo capitolo sull’evoluzione del web. Intanto, è iniziata la fuga da Facebook che si traduce in un esodo di abbonati che parte dagli Stati Uniti (con sei milioni di utenti in meno) e che presto riguarderà anche gli italiani, che per il momento restano più fedeli (con venti milioni di utenti registrati). Ma è solo questione di tempo. E a guidare l’esodo saranno soprattutto le aziende.
“Facebook è gratis e lo sarà per sempre”, ma se vuoi raggiungere tutti i tuoi clienti devi pagare. Questa è la sintesi del nuovo corso di Facebook, che dopo la quotazione in Borsa e la perdita di valore delle azioni deve trovare nuove strade per mantenere le promesse di rendimento e crescita fatte agli investitori. Le aziende spenderanno in media poco meno di 700mila dollari «per fare quello che prima era gratis» e cioè comunicare con i propri amici o clienti. Da quando Zuckerberg e compagni si sono inventati i “post promozionali” (che tradotto significa a pagamento), le aziende si sono accorte che qualcosa è cambiato. Gli annunci sono meno visibili e i post non raggiungono più tutta la platea degli utenti.
Il valore di borsa di Facebook si basa sul traffico che ogni singolo utente registrato genera con la sua rete di contatti e Mark Zuckerberg capitalizza questo traffico in Borsa. Le aziende che rappresentano la base del modello di Facebook però non sono più libere di fare business sui loro contatti e il popolo della rete insorge contro il più popolare aggregatore di vita vissuta sul Pianeta con l’accusa di aver tradito la sua missione iniziale.
«Dalla scorsa primavera la portata di un post su Facebook si è ridotta fino a raggiungere circa il 15% dei potenziali destinatari» – spiega Marco Camisani Calzolari. «La portata media arriva al 16%, ma il dato interessante riguarda la quantità di pubblicità. Negli Stati Uniti un banner su quattro è su Facebook, in Gran Bretagna uno su tre, ma in termini di valore siamo solo al 17% della spesa complessiva».